Amazzonia – Approfondimento di Giorgio Vacchiano

Degli incendi in Amazzonia ce ne stiamo occupando da molto tempo. Questo approfondimento di  Giorgio Vacchiano che pubblichiamo su gentile concessione dell’autore aiuta a comprendere meglio cosa sta accadendo. Questo è il post originale e questo il profilo dell’autore che consigliamo di seguire.

Giorgio Vacchiano

Cosa sta succedendo in Amazzonia? 10 punti spiegati (bene) dal Guardian e da un forestale (me).

In estrema sintesi: anche se l’amazzonia non è il “polmone” della Terra, anche se è grande come l’unione europea e anche se non sta bruciando tutta, la situazione è grave, e dobbiamo preoccuparci e agire. Ecco come e perché.

1) Ogni anno nella stagione secca (luglio-ottobre) i satelliti rilevano molti incendi nel bacino amazzonico. Nel 2019 siamo a 79000 “punti fuoco” in tutto il Brasile, cioè quasi il doppio rispetto all’anno scorso e il 15% in più rispetto alla media dal 2013. In passato altri anni hanno fatto registrare più incendi, ma in corrispondenza di annate particolarmente siccitose come quelle associate a El Nino (come nel 2007 o 2016). Quest’anno la pioggia è stata di poco sotto la media, eppure in alcuni stati amazzonici (es Rondonia) il numero di incendi è in aumento. Situazioni analoghe si stanno registrando in Bolivia.

2) Il 99% di questi incendi ha origine umana volontaria: le foto satellitari mostrano che a bruciare sono le zone di margine della foresta, al confine con i campi coltivati e i pascoli o le aree comunque utilizzate dall’uomo (e spesso deforestate in tempi recentissimi). Gli incendi sono uno degli “strumenti” della deforestazione, che significa sostituire la foresta con qualcos’altro, in modo permanente.

3) L’Amazzonia (con i suoi vari ecosistemi) è grande quasi 6 milioni di km quadrati, poco più dell’Unione Europea (!) Secondo il Guardian, da gennaio a luglio 2019 sono bruciati 18600 km quadrati, cioè lo 0.3%. Sembra poco? invece no. All’inizio di agosto questa superficie era il doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, anche se siamo lontani dal record per il periodo 2000-2018. Un fenomeno quindi non estremo, ma che continua da diversi anni. E estremamente problematico. Perché?

4) Non per l’ossigeno. L’Amazzonia infatti non è il “polmone del mondo”. Tra il 50 e il 70% dell’ossigeno sulla Terra è prodotto dalla fotosintesi delle alghe negli oceani. Il resto dalle praterie, dai campi coltivati (sì, anche loro) e dalle foreste che crescono velocemente, accumulando carbonio e rilasciando ossigeno. L’Amazzonia non produce il 20% del’ossigeno nel mondo (un dato errato che rimbalza anche sulle testate più prestigiose). La cifra varia da 0 al 6%: gli alberi assorbono anidride carbonica (CO2) e emettono ossigeno con la fotosintesi, ma man mano che crescono devono anche mantenere i propri tessuti, consumando ossigeno e emettendo CO2 (come noi). Più l’albero è grande, più il bilancio netto si avvicina a zero. Inoltre, le foglie e il legno morto vengono degradati da batteri e funghi, emettendo altra CO2 e consumando altro ossigeno. In tutto, il bilancio è solo leggermente a favore dell’ossigeno, e negli anni in cui muoiono molti alberi per deforestazione o siccità, si avvicina a zero.

5) Anche se la foresta producesse nettamente ossigeno, non è questa la ragione per cui preoccuparsi: nell’atmosfera c’è il 21% di ossigeno e il 0.0415% di CO2. L’anidride carbonica è la causa principale dell’effetto serra, e poiché in proporzione ce n’è poca nell’atmosfera, aggiungerne o toglierne un poco fa molto più effetto che aggiungere o togliere un poco di ossigeno. Quando una foresta brucia, dagli alberi e dal suolo si “libera” nell’atmosfera il carbonio di cui sono fatti. Secondo il servizio europeo Copernicus, gli incendi di quest’anno in Amazzonia hanno già prodotto 230 milioni di tonnellate di CO2 (più di quelli siberiani). Aumentare la CO2 significa aggravare il riscaldamento climatico, che rende probabili altri incendi, e così via in un circolo vizioso. Ecco il problema principale.

6) Inoltre, l’Amazzonia è così grande che produce tramite l’evaporazione dagli alberi la “proprie” nuvole e la “propria” pioggia. Se incendi e deforestazione arriveranno a riguardare il 25%-40% della foresta (per ora siamo intorno al 15%), l’ecosistema non sarà più in grado di regolare il proprio clima e potrebbe trasformarsi in una savana (come era già 55 milioni di anni fa), rilasciando enormi quantità di CO2 nell’atmosfera e mettendo a rischio milioni di specie animali e vegetali, la gran parte sconosciute, tra cui il 25% delle piante medicinali che l’umanità utilizza per la fabbricazione di farmaci di ogni tipo. Per non parlare dei problemi che può causare alle popolazioni che dipendono alla foresta per l’accesso al cibo e all’acqua.

7) Fino al 2017, la deforestazione in Amazzonia, che è causata soprattutto dalla conversione in terreni per la coltura della soia (per alimentazione animale) e per pascolo estensivo (non intensivo!) era considerevolmente diminuita. Il 2018 e 2019 hanno visto un aumento velocissimo di area disboscata (cioè trasformata permanentemente in non-foresta). Secondo L’istituto nazionale per le ricerche spaziali brasiliano – INPE (il cui direttore è stato licenziato da Jair Bolsonaro) quest’anno potremmo raggiungere per la prima volta in un decennio i 10000 km quadrati disboscati. Gli incendi sono legati alla deforestazione, essendone uno degli strumenti principali.

8) Il presidente Bolsonaro durante il suo mandato ha incoraggiato nelle parole e con i fatti l’eliminazione della foresta a scopi produttivi, tolto fondi al monitoraggio e alla protezione ambientale (-20% secondo il New York Times) e allentato i controlli sulle illegalità (modifiche al decreto 6514). Tuttavia, la deforestazione e gli incendi procedono rapidi anche nell’Amazzonia Boliviana (soprattutto a causa delle estrazioni minerarie), dove il presidente Evo Morales non può certo essere definito un capitalista di destra. Pertanto, il problema non è solo di chi guida lo Stato, ma di un sistema di mercato internazionale legato alle esportazioni di soia, carne, e minerali verso Europa e USA.

9) La carne è uno dei principali prodotti di esportazione dal Brasile, e l’Italia è uno dei principali importatori (30 000 tonnellate/anno – soprattutto per carni lavorate di bassa qualità). L’accordo commerciale UE-Mercosur firmato la scorsa settimana facilita l’importazione di altre 100 000 t di carne bovina all’anno dal sud-america all’Europa ed è oggetto di una interrogazione al Parlamento Europeo di Coldiretti, che teme la concorrenza sleale nei confronti delle carni italiane. Gli animali in Italia non sono allevati su terreni sottratti alle foreste primarie, tuttavia spesso sono alimentati con la soia proveniente dal sud-america, responsabile di deforestazione (soprattutto pollo, maiale e carni trasformate). Uno studio ha dimostrato che l’EU è stata indirettamente responsabile di 9 milioni di ha di deforestazione nel mondo nel periodo 1990-2008 mediante il consumo di prodotti ottenuti grazie a disboscamento (soia, carne, olio di palma).

10) Cosa fare? Le azioni più efficaci sono quelle collettive e politiche. Occorre organizzarsi e fare pressione per modificare le abitudini alimentari, i meccanismi di importazione, e allineare la spesa pubblica al reale valore delle cose: quanto viene destinato alla cooperazione ambientale? Quanto invece a sostenere i consumi domestici di prodotti responsabili di deforestazione? Il primo passo (necessario non sufficiente) è a livello personale – accettare la sfida della complessità e cercare di capire da dove proviene e che conseguenze ha ciò che consumiamo.

Un ringraziamento alla fonte originale di gran parte dei dati.

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